Il suo amico l’ha convinta a seguirlo in questo posto nuovo, dice che è “unico”, “particolare”, “intrigante”. Un posto che, le ha assicurato, le cambierà la vita.
Ora lei è lì al centro della pista, o almeno crede di esserci, è tutto buio, tranne che per qualche lampo improvviso che taglia la folla di sbieco. In uno di quei lampi intravede una figura, piccola, minuscola.
Un semino.
Sembra vorticare verso di lei al ritmo della musica, a ogni falciata di luce le si accosta sempre di più, eppure resta piccolo. Allora lei si inginocchia, vuole guardare quel chicco di grano da vicino. Qualcuno deve raccoglierlo, tritarlo e farne pasta. E lei la mangerà, sì, quel buon sapore di quotidianità e calore. Assapora ogni boccone, se ne riempie le guance. La vuole dentro di sé, per rubarne i nutrienti, farne energia. Da lì si ricongiungerà al suolo, chiederà un passaggio a una falda e raggiungerà il fiume.
Non può più tornare indietro. La potenza dell’acqua la spaventa e le è da ispirazione. Trascina con sé vita e morte, si muove leggera eppure carica tra le scivolose anse, è in discesa, lo percepisce. Niente può più arrestarla, non ci sono limiti, vada come vada lei si lancia nel vuoto e la cascata esplode, fragorosa, è un tutt’uno con la natura, si ricongiunge con la sua anima in un salto inaspettato, acqua su acqua, senza dolore né lacerazione.
È calma adesso, eppure ha il respiro affannato. Gli occhiali sembrano funzionare solo da una lente, dov’è finita l’altra metà? È sulla testa. Li rimette a posto. Il chicco di semolino si allontana e ora sì diventa sempre più piccolo, fino a sparire nel buio tra le lame di luce.
Si rimette in piedi.
«Che fine hai fatto? Non ti trovavo più! Cos’è quella faccia?» le chiede l’amico.
«Niente,» risponde lei «ho scoperto che mi piace il semolino.»
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