«Cosa vuoi dirmi, Maestro? Perché mi sei venuto a cercare adesso? È tardi, i microracconti stanno per finire.»
«Perché hai iniziato allora?»
«Non saprei, ho sempre voluto pubblicare le cose che scrivevo, ma non ho mai avuto il coraggio. Poi il senso della gravità è cambiato, molte cose hanno perso peso. MI sono aggrappata alla scrittura per imparare a dire addio.»
«Ma perché la scrittura? Potevi farti bionda o iscriverti in palestra.»
«Credo per come mi fa sentire. C’è un momento specifico, quando scrivo, in cui io non esisto più, mi fondo con la storia che sto raccontando, non ho stimoli corporali, non sento i rumori esterni, navigo in questo mare di parole cavalcando le onde in velocità, sono potente e libera di andare dove voglio tra le infinite possibilità, non mi chiedo più perché sono al mondo, non perché lo so ma perché non m’importa più. In quei momenti posso sentire il mio cuore ridere forte. Per me è la felicità e io cerco di raggiungere questa condizione ogni volta che posso.»
«Quindi i microracconti continueranno?»
«C’è stato un momento, in questo percorso, in cui il mio desiderio di pubblicare ha perso importanza, schiacciato dalla voglia di inventare delle storie. Scrivere, così, è diventato lo scopo finale, non più il mezzo per la pubblicazione. L’invenzione, la struttura della storia, le chiacchiere con i personaggi, come ora, qui, con te: tutto questo non cesserà mai. Il resto, non è importante.»
«Quindi sì o no?»
«Maestro, sei un po’ invadente. Non puoi aspettare per scoprirlo?»
«Lascia stare, non voglio conoscere la data della mia morte.»
«Oh Maestro, non temere. Abbiamo appena iniziato a conoscerci.»
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