C’era una volta, in un regno fatato del siracusano, un re di un castello tanto grande e tanto bello. Questo re aveva il vizio di tutti i re di restare vedovo con una figlioletta a carico e di risposarsi subito dopo con una donna malvagia.
Il suddetto regnante aveva infatti ripreso moglie.
Si era unito a una bellissima e cinica donna, alta e mora, che si era distinta nel regno per aver condotto una intifada contro tutte le bionde del reame e averle rinchiuse in una torre.
Poco dopo il matrimonio, però, il re era morto lasciando la sua figlioletta adorata da sola con la matrigna cattiva. La ragazzina aveva pelle bianca come la neve, capelli scuri come i rami d’inverno, labbra rosse come fragole, e cervello sottile come aria fresca.
Era un’idiota totale. La chiamavano Babbaneve.
Per tutta la sua infanzia, la piccola Babbaneve potè vivere da svampita in giro per il castello, farsi graffiare dai gatti e sottomettere dalla servitù, cadere dalle scale per prendere la palla in piena faccia, guardarsi intorno con aria da cretina quale era. Intanto la matrigna passava le sue giornate a interrogare lo specchio magico che teneva vicino alla libreria con il Mein Kampf.
“Specchio specchio delle mie brame,
dimmi, chi è la più bella del reame?
E bada di non scordare il complimento
Se non vuoi finir in pezzi sul pavimento!”
Lo specchio si schiarì la voce e rispose:
“Oh mia regina, la primavera è nei tuoi occhi,
l’estate sulle tue guance,
nella tua bocca son di neve fiocchi
e profumi di zagara d’arance.
Vu Vu vu
Mi piaci tu”
Ogni sera la matrigna ripeteva allo specchio la stessa domanda, pretendendo che la risposta non cambiasse.
“Specchio specchio delle mie brame,
dimmi, chi è la più bella del reame?
E bada di non sbagliar la citazione
Se non vuoi volare giù dal balcone”
Lo specchio rispose:
“Sei la più bella del mondo,
tu tu tu tu ru ru tu
sei la più bella per me
tu tu tu tu ru ru tu
mi piaci da impazzireeeeeeeeeee”
Passò il tempo e Babbaneve compì sedici anni. La sua bellezza aumentò, di pari passo con la sua bacataggine. Una sera, come tutte le altre sere, la matrigna interrogò lo Specchio magico.
“Specchio specchio delle mie brame,
dimmi, chi è la più bella del reame?
Stasera non ti faccio alcuna minaccia,
dammi solo una risposta che mi piaccia”
Lo specchio rispose:
“Del reame non fosti più tu la migliore,
per una giovane dama con gli occhi di stella.
Cresce ogni giorno il ridente candore
della fanciulla che è or la più bella.
Dolce il suo nome, il cervello suo lieve:
è quella stolta di Babbaneve!”
La matrigna andò su tutte le furie. Cominciò a girare per la stanza pensando a un modo per tornare a essere la più bella del reame. Fece chiamare un cacciatore (che lei sapeva essere innamorato di lei), gli ordinò di portarle l’indomani il cuore di Babbaneve per i suoi cani. Il cacciatore andò da Babbaneve e le disse di seguirlo nel bosco perché aveva una cosa meravigliosa da mostrarle. Non era la prima volta, in realtà, che il cacciatore diceva queste cose a Babbaneve, e infatti lei lo seguì senza fare domande. Questa volta, però, Babbaneve ebbe una sorpresa: il cacciatore non voleva le solite filastrocche: aveva tirato fuori il fucile e glielo puntava dritto al petto.
«È un nuovo gioco? Cosa devo fare?» chiese Babbaneve.
Il cacciatore pensò che la ragazza era troppo stupida per poter dare problemi a qualcuno e decise di non ammazzarla. Le disse che il gioco consisteva nell’andare il più lontano possibile dal castello e che per vincere bisognava arrivare per primi. Non aveva senso, ma nemmeno Babbaneve ne aveva, e infatti accettò entusiasta. Così iniziò a inoltrarsi tra gli alberi del bosco e dopo poco sparì. Il cacciatore, non sapendo come mantenere la promessa fatta alla matrigna, andò in cerca di cerbiattine.
Era trascorso tutto il pomeriggio e Babbaneve annaspava ancora in mezzo alle piante. Quando già il sole si avviava a tramontare, riuscì a sbucare fuori dal bosco e si ritrovò davanti a una casetta. Bussò alla porta ma nessuno rispose. La porta non era chiusa a chiave e lei entrò. Dentro quella piccola casa c’era la tavola apparecchiata per sette: sette piatti, sette bicchieri, sette forchette, sette coltelli. Babbaneve aveva fame e mangiò un po’ di quello che trovò, sbrodolandosi tutta la zuppa addosso. Poi si guardò intorno e vide che c’erano sette letti, di cui uno fatto di chiodi. Si sdraiò sui primi due e si addormentò.
Sul far della sera i sette proprietari della piccola abitazione rientrarono a casa e trovarono la giovane scema tutta sbracata sui loro lettini. Si avvicinò a lei il più anziano fra essi dicendo:
«Che ragazza irriverente! Svegliamola così potrò svelarle la verità sul suo dubbio impertinente!» e si portò le mani alla cintura dei pantaloni.
«Fermo Giudicalo! Dopo tutte quelle sedute di terapia ancora insisti con queste manie di grandezza? Io propongo di aspettare che si svegli da sola e ci dica da dove viene e che rapporto ha con suo padre» disse Psicolo.
«Ma guarda qui che disastro! Avevo pulito la cucina e avevo rifatto i letti e lei ha rovinato tutto! Mi viene da piangere!» si lamentò Mestruolo.
«Dai amico, relax! Non vedi che la pupa è stanca? Vieni qui, fatti un tiro e scordati dei problemi! Peace!» propose Ganjalo cercando di calmare gli animi.
«Ha un colorito così roseo! Come la invidio!» esultò Truccalo.
«Vado a non riposare sul mio letto.» sussurrò Emolo.
«Io ho tre anni» urlò Dennis, l’ultimo fratello (che non era proprio al cento per cento).
A sentire quell’urletto, Babbaneve si svegliò e disse:
«Ma siete tutti nani qui?»
Psicolo si fece avanti:
«Chi sei? Come mai sei entrata nella nostra casa? Ti capita spesso di rinchiuderti in spazi angusti?»
«Cosa vuol dire angusti?» chiese la fanciulla.
«Hey piccola gal, sei la benvenuta nella nostra tana, vuoi provare a farti un tiro?» la invitò il generoso Ganjalo.
«Vuoi scoprire se è vero quel che si dice intorno ai nani?» le bisbigliò Giudicalo tirandosi su la maglietta.
«Mi sono innamorata del tuo rossetto! Che marca è?» si esaltò Truccalo.
«Io ho tre anni» interruppe il “piccolo” Dennis.
«Senti cara, io non lo so cosa ci fai qui, chi ti ha mandato, quali sono i tuoi scopi nella vita, semmai ne hai. Io so solo che ho lasciato la casa che era un bijoux e tu me l’hai fatta trovare ridotta a un porcile! Ma ti pare modo? O metti tutto a posto o fuori da qui immediatamente!» proruppe Mestruolo.
«Come siete carini! Giochiamo a mamma e figli!»
Così fu deciso che Babbaneve sarebbe rimasta a fare la sguattera in casa dei sette nani, anche se lei era convinta di stare giocando a un gioco bellissimo in cui lei era la protagonista indiscussa. I nani andavano in miniera la mattina presto e tornavano a casa al tramonto, nel frattempo Babbaneve teneva in ordine, cucinava, spazzava, cuciva e ricamava (meglio: provava a sbrigare tutte queste faccende, ma in realtà faceva più danni che servizi, suscitando l’odio di Mestruolo).
Al castello la regina tornava a interrogare lo Specchio, sicura di ricevere la risposta che si aspettava.
“Specchio specchio delle mie brame,
dimmi, chi è la più bella del reame?
Gridalo forte, che lo possano sapere
quelle arpie che mi sparlavano dal parrucchiere!”
Lo specchio rispose:
“Cara regina non voglio infierire,
per i tuoi larghi occhi, per il tuo buon umore,
ma se mi chiedi non posso non dire
che apparteneva ad altri quel cuore.
Là con i nani minatori,
sempre cretina e sempre di fuori,
Babbaneve è viva e primeggia
e tu conti quanto la scureggia!
La matrigna capì di essere stata ingannata dal cacciatore e, riflettendo su quanto non ci si potesse più fidare nemmeno degli innamorati, lo fece chiamare e gli cancellò tutti i contributi che aveva accumulato in vari decenni di onorato servizio. Poi lo mandò ad aggiornare il curriculum.
Ora doveva concentrarsi, pensare a un modo più diretto per far fuori quella scema di Babbaneve. Si disperava e camminava avanti e indietro nella stanza finché fu interrotta dallo specchio.
“Sua Maestà mi permetta l’intrusione,
non sopporto di vedervi in agitazione.
Vorrei suggerirvi la soluzione
per riconquistare la posizione.”
“Parla e non perder tempo ancora
O ti lascio appannato per tre quarti d’ora!”
“Cara Regina, giovane e bella,
non sarà arduo da realizzare,
sappiamo entrambi che la pulzella
non è così brava a ragionare.
Poco ci vuole per ingannare
una cretina di tale portata:
basta soltanto farle assaggiare
una meringa che sia avvelenata.
Ella di certo non capirà
ed in un attimo sparirà.”
“La tua proposta è interessante,
mi travestirò da vecchia mercante!
Una mela avvelenata assaggerà
e in un attimo sparirà!
Ah! Ah! Ah!”
“veramente ho detto meringa….”
La regina usò i suoi poteri magici da stregaccia per assumere le sembianze di una vecchia decrepita, poi prese una mela e vi infuse il veleno, pure questo magico, e andò alla casetta dei sette nani.
Intanto, nella casetta, l’ennesima discussione tra Mestruolo e Babbaneve aveva finito per coinvolgere tutti gli altri.
«No dico, ma ti pare modo? Noi ci spacchiamo la schiena a picconare in miniera e tu stai qui tutto il giorno a trastullarti invece di renderti utile! Ti sembrano delle scarpe pulite queste? E questa? Ti sembra una camicia stirata? Non ne posso più! Non ne posso più!» si sfogava Mestruolo.
«Ma io non avevo capito, così ho stirato le scarpe e ho lavato la camicia. Non è uguale?»
«Calmiamoci tutti. Forse questo è il suo modo di comunicare e per farci capire dobbiamo parlare al contrario.» suggerì Psicolo.
«Vuoi vedere la mia virtù meno apparente?» saltò su Giudicalo.
«Hey, l’atmosfera si scalda qui. Oh yeah!» disse Ganjalo tra nuvole di fumo.
«Io non capisco.» confessò Babbaneve.
«E a che serve capire? Tanto prima o poi moriremo tutti. C’è chi è già morto e non lo sa.» decretò Emolo
«Se ti sbavi il rossetto ci penso io!» promise Truccalo.
«Da dove vengono i bambini?» chiese il “tenero” Dennis.
L’aria si era fatta pesante e i nani decisero di uscire a bere qualcosa senza Babbaneve, per lasciarla da sola a riflettere sul perché fosse così cretina. Dopo qualche ora Babbaneve sentì bussare alla porta. Andò ad aprire e si trovò davanti una vecchietta con un cesto di mele.
«Buonasera giovane e bella fanciulla, farebbe un favore a una povera vecchina malconcia? Comprerebbe una mela per un solo centesimo?»
«Ciao vecchia. Ok. Voglio quella là.»
«Prendi questa qui» disse la strega porgendole la mela avvelenata «è più grande e più succosa!»
«Voglio quell’altra. Io pago e voglio scegliere la mela!»
«Ma allora sei proprio cretina!» urlò la vecchia mentre riprendeva le sue sembianze da regina. Afferrò Babbaneve per un braccio e le ficcò la mela in bocca. Babbaneve finì per dare un morso al frutto e cadde a terra in un sonno magico ed eterno.
Quando i nani tornarono a casa, trovandola svenuta, subito cercarono di rianimarla, ma senza successo. Poi videro la mela morsicata, che era diventata nera, e capirono.
«Ah! Questa stupida si è mangiata la mela con il veleno per topi! Che schifo!» disse Mestruolo con ribrezzo.
«Cosa avrà voluto comunicarci con questo gesto estremo?» si domandò Psicolo.
«Ora scoprirà la statura di Dio. Posso toccarla?» azzardò Giudicalo.
«Posso prendermi il suo cerchietto?» strillò Truccalo.
«Perché non fumiamo un’ultima bonga d’addio?» propose Ganjalo.
«Ha finito di soffrire. La invidio.» sibilò Emolo.
«Da dove vengono i bambini?» continuò Dennis.
I nani deposero il corpo di Babbaneve in una bara di vetro affinché tutti potessero ancora godere della sua bellezza. Giudicalo, chissà come mai, non aveva voluto sentire ragioni: la bara doveva essere trasparente.
Un giorno passò di lì un principe di un regno lontano che si era perso rincorrendo una farfalla col suo cavallo. Era della dinastia degli Stupidotteri, si chiamava Corrado. Quando vide la bella fanciulla nella bara di vetro ne restò affascinato. Sollevò il coperchio e le diede un bacio sulla bocca. Così facendo assaggiò anche lui un po’ del veleno che le era rimasto sulle labbra e si addormentò per l’eternità. Cadde su di lei e insieme sparirono nel nulla.
Qualche giorno dopo Mestruolo andò alla bara nel bosco per pulire ma al suo interno vide che il corpo di Babbaneve non c’era più. Al che esclamò:
«Finalmente ce la siamo tolta dalle scatole» e se ne tornò a casa.
Giudicalo non si riprese mai più.
La regina visse cattiva e contenta.
FINE
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