Dice il dottor gastroenterologo che c’è stata una modifica anatomica nel mio apparato digerente.
Eccolo qui: il prezzo da pagare per aver assistito a quegli spettacoli.
Dice che non è una cosa grave, ma la bocca del mio stomaco resterà aperta, come stupefatta, incredula, scioccata. Per sempre.
Lui bla bla blatera di pillole e sintomi, ma io so perché è successo. È così chiaro!
Rifiuto.
Rifiuto il dolore e mi catapulto mentalmente nel futuro, tra sei o sette anni, quando queste ferite saranno cicatrici presenti ma sopportabili. Ora no, vederle sanguinare? Non posso, non voglio.
Eppure, so che non le supererò se non le affronto. Non va bene. Devo elaborarle, così saranno passate.
Come si fa? Non è che ti siedi alla scrivania e ti metti a elaborare. E poi non lo vedi che questa tua fretta di analizzare e andare avanti è un’altra forma di negazione?
Il rifiuto del rifiuto.
Così il mio stomaco ha voluto aiutare, ha detto: “Ci penso io a digerire questo dolore per te.” e ha cercato di raggiungermi il cuore.
Stomaco mio, perdonami. Io ti ho insultato e accusato, mentre tu, semplicemente, mi obbedivi.
Ti faccio una proposta: iniziamo a lavorare insieme. Io ti prometto dieta sana, movimento e riposo. Tu continua a fare il tuo normale lavoro.
Il cuore ci seguirà.
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