Francesca Di Rosa

Ero talmente piccola che da seduta i miei piedi non toccavano terra. Il bagno era la mia stanza preferita. Era ricoperto di mattonelle azzurre con delle grandi gocce d’acqua che sembravano in rilievo. In quelle forme io vedevo delle facce. Rotonde, frastagliate, alcune avevano il naso, altre delle orecchie enormi. Erano i miei personaggi. Li facevo parlare, litigare e tornare amici. Ogni mattonella era una casa e le facce mostruose gli abitanti. Era come accendere la tv senza dover aspettare l’ora dei cartoni. Mi sedevo sul bordo della vasca e stavo lì in silenzio, ascoltando i dialoghi nella mia testa. Alcuni mi facevano ridere. La goccia con la proboscide e senza occhi era la mia preferita, era la più grande e decideva sempre cosa dovevano fare le altre. Ogni tanto mi accorgevo di nuovi volti nascosti in mattonelle lontane, e vedevo il momento del ricongiungimento, tra abbracci e lacrime.

Quando ho avuto una casa mia, l’ho riempita di libri. Adesso ho tutte le storie che voglio, quando le voglio. Ma nessuna è chiara, entusiasmante e dettagliata come quelle che mi raccontavano le gocce. Quando i miei genitori hanno rifatto il bagno, ho chiesto loro di tenere da parte una mattonella, volevo metterla sulla scrivania per ricordarmi che ho iniziato a scrivere per ritrovare quella gioia. Ma se ne sono dimenticati, e anche io.

Fino a oggi.