38. Una storia da De Andrè

Ninetta mia, a crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio. Ninetta bella, dritto all’inferno avrei preferito andarci d’inverno. Anzi, avrei preferito che ci andassi tu.

GUSTO

Se quel giorno non t’avessi vista passare davanti alla pasticceria, se tu non ti fossi chinata a desiderare il cibo proibito solo a te, se il vento non ti avesse sollevata la gonna svelandomi il mio destino. Che poi era sbagliato, perché non era insieme a te ma a morire per colpa tua.

Io te li avrei comprati tutti i dolci del mondo, ma non li potevi mangiare e non ti potevo nemmeno guarire, come tua madre e tua nonna prima di te, ma se tu mi avessi accettato tra le tue braccia avresti avuto tutta la dolcezza di cui avevi bisogno, e anche io.

E invece devo morire con questo sapore terribile in bocca, come se avessi dato un morso al mio fucile. Anche il tuo cuore è di ferro, e solo ora mi sembra di poterlo assaggiare.

Perché? Perché Carlo? Quell’idiota! Grande e grosso, e senza senso. Tu che sei così candida alla luce della luna, come puoi andare incontro all’oscurità in questo modo? Come puoi scegliere di rinchiuderti in una stanza mentre dovresti correre sui prati e lungo le rive dei fiumi, padrona del tempo, della natura e della vita tutta! Come quella volta d’estate quando ti abbiamo accompagnata a fare il bucato e siamo finiti a fare il bagno. Forse è lì che tu hai scelto Carlo. Lui sapeva fare i tuffi dall’alto e tu applaudivi, io andavo a raccogliere fiori da donarti. Com’eri bella con tutti i capelli bagnati, sembravi una Venere uscita dalle acque. Sono stato da Don Filippo tutti i giorni per una settimana, dopo quella volta. E mentr’io mi pentivo d’averti fatta scendere, coi miei pensieri, tra i mortali, di averti fatta sangue e carne, tu non disdegnavi di avere un corpo né che Carlo ne avesse uno reale quanto il tuo, e ti specchiavi nei suoi occhi. Mio padre mi aveva detto che le donne cercano la protezione dei forti ma si innamorano dei poeti. Che stupido ch’eri papà! Tu fosti fortunato a incontrare la mamma, che camminò al tuo fianco fino alla fine, io inciampai in Ninetta senza che lei deviasse il suo percorso, così fui io a cambiar direzione. E dove mi ha portato adesso questa strada? A guardare il mondo attraverso i papaveri al vento, come un insetto. Amici papaveri, crescete alti e forti e nascondetemi agli occhi degli uomini, fate che nessuno mi scorga da lontano. Cielo, cadi su di me, lava questo sangue e cancella le parole inchiostrate sulla carta che ho messo al sicuro nella mia tasca e che non più corrispondono a verità.

Ninetta mia, è colpa tua se muoio, ché mia non sei e mai sei stata.

UDITO

Ninetta dove sei? Sei qui? Sento la tua voce ma non ti vedo! Ridi? Ah, beh, lo so che sembro un pupazzo vestito tutto d’un colore brutto, stropicciato e buttato a terra come un sasso. Eh sì, hai ragione. Il campo da battaglia non mi si addice, ma io ci voglio provare lo stesso. Tanto la guerra c’è l’ho già dentro di me ogni giorno, il diavolo mi cammina accanto tutte le volte che ti incontro per strada e so che non stai venendo da me. Devo andare Ninetta, non provare a fermarmi. A meno che, insomma, tu non voglia che io resti. Mi saluti? Devi andare a preparare la cena per Carlo, vero? Addio Ninetta, stammi bene. Non pensare a me con malinconia, ci rivedremo certamente. La tua gonna oscilla come la prima volta che t’ho vista, mi fa girare la testa. Se ti volterai verso di me prima di girare quell’angolo, anche solo per un saluto da lontano, mi strapperò questa divisa con le mie mani e resterò per sempre accanto a te, in qualsiasi modo tu voglia. Anzi, ti rapirò e vivremo di bacche nei boschi, e tu sarai la regina dei fiori e dei colori, e io il tuo umile servo e marito. Girati Ninetta! Girati perdio!

Ero già morto quel giorno, ecco perché non posso morire più.

Come reagirai quando ti diranno che sono disperso tra i papaveri rossi? Certo che un po’ sarai dispiaciuta. Passerà il tempo, forse piangerai di nascosto ricordando quel giorno ventoso sotto la veranda di casa tua, poi tornerai ai tuoi affari, lentamente, finché sarò solo il ricordo di uno che conoscevi e che una volta ti ha stretta a sé senza darti nessuna spiegazione. Io ci penso sempre a quel giorno, Ninetta. La paura che tuo padre ci scoprisse mi riempiva il cuore, ma più mi consumava il timore che tu mi spingessi lontano. Non lo hai fatto. Sei rimasta immobile, con gli occhi spalancati. Sentisti la pioggia bagnarti la fronte e fuggisti dentro casa per ripararti. Erano le mie lacrime salate. E tu lo sapevi.

VISTA

No! No! Compagno soldato non ti avvicinare! Cosa vai cercando in quella tasca? No! Lascia quella lettera! Non dirmi di stare calmo! Lasciala! Lasciala! Dov’è il mio fucile? Guarda che ti sparo! Ti sparo!

Ah, che pace. Mi dispiace compagno soldato, ma non voglio che lei sappia che l’amavo al punto di morire per lei. Anche tu mi avevi parlato della tua desolazione, una notte di trincea intorno al fuoco. Le fiamme crepitanti ti ricordavano i suoi capelli rossi e la sua risata inopportuna e maliziosa. Ricordo che ci sembrò buffo ritrovarci lì con la stessa storia sbagliata, e che fu dolce il vino sulle ferite dei nostri cuori rassegnati. In fondo, ti ho fatto un favore. Volevi quello che per me tarda ancora ad arrivare. Cercavamo entrambi solo una fine, un posto lontano dal loro amore che non ci apparteneva. Pensavamo che la tristezza non ci avrebbe seguiti, ma era dentro di noi. La sento uscire dal mio cuore insieme al sangue. Che bello! Mi piacerebbe restare così per sempre. Ninetta, potrei anche perdonarti in questo momento. È proprio come dicono, tutto diventa azzurro e pulito, senza una macchia.

TATTO

Com’è freddo il mio fucile. Eppure ha appena sparato. È diventato il mio migliore amico, testimone, insieme a questi fiori rossi, della fine a cui può giungere un uomo per sfuggire alla primavera. A maggio mi piaceva andare a raccogliere le pesche e mangiarle sotto l’albero. Cosa darei per una pesca del colore della tua pelle, Ninetta. Per sfiorarti le guance con il dorso ruvido della mia mano e sentirti rabbrividire.

Non sento più l’amico fucile, il momento è vicino. Una calma che non conoscevo m’invade. Non sono più niente di quel che ero. Dal momento in cui t’ho sentita, qui dentro al mio cuore, niente è più stato uguale a prima. A nulla è servito questo viaggio, se nel nulla me ne vado e non posso portarti con me. Sono arrivato all’inverno perdendomi l’estate e senza passare per l’autunno. Che stagioni che sarebbero state le nostre, insieme! Rifuggo, con successo, la primavera. Fuggo da te, e resto solo. Ho freddo.

OLFATTO

Cos’è questo profumo? Un torta calda? Coi semi di papavero? Ninetta! Che beffe che si fa di noi la sorte! La torta ai semi di papavero era la tua preferita, quella che ti struggevi di non poter assaggiare. E ora io, che mai ebbi la grazia di saziarmi con un tuo bacio, muoio circondato da questi fiori profumati. Sono fortunato, quando il vento li spinge sul mio volto riesco a inebriarmi di tutta la loro essenza. È armoniosa ma pizzica un po’. Sembra la morte.

Ci siamo. Ti aspetto al varco, Ninetta mia, che mia mai sei stata. Ma io tuo fui e sono finanche nel momento ultimo della mia esistenza. Non c’è più sangue né tristezza da disperdere su questa terra straniera. E straniero fui sempre io al tuo cuore, padrona di casa tu nel mio. Te lo dono insieme alla mia vita. Pensami Ninetta, pensami e raggiungimi all’inferno.



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About Me

Siciliana, scrittrice e creatrice di storie. Nella sua vita è stata (in ordine sparso): copywriter, social media manager, project manager, collaboratrice scolastica, fotografa, artigiana, brand manager, web editor, content creator, insegnante. Attualmente collabora con Shining Bees, dove si occupa di raccontare storie e fornire idee.

Sogna un mondo in cui le persone amino i lunedì, settembre e le verdure al vapore. Gattara, ama leggere, fare l’uncinetto e camminare. Odia le etichette, i posti affollati e scrivere biografie. Citazione preferita: “Delle proprie opere non bisognerebbe dir nulla. Lasciar parlare esse, e basta.” Italo Calvino, presentazione per I racconti.